La ragazza Afgana
Probabilmente una delle fotografie più celebri di sempre la ragazza Afgana fu scattata da Steve Mcurry, fotografo statunitense, nel 1984 nel campo profughi di Peshawar in Pakistan. La foto ritrae Sharbat Gula, pubblicata sulla copertina del National Geographic nel Giugno del 1985, l'espressione del suo viso con i suoi occhi di ghiaccio resero ben presto l'immagine celebre in tutto il mondo.
IL CONTESTO STORICO: La guerra in Afghanistan del 1979-1989, talvolta indicata anche come guerra russo-afghana, invasione sovietica dell'Afghanistan o intervento sovietico in Afghanistan, fu un conflitto intercorso tra il 24 dicembre 1979 e il 15 febbraio 1989 nel territorio dell'Afghanistan, e che vide contrapposte da un lato le forze armate della Repubblica Democratica dell'Afghanistan (RDA), sostenute da un massiccio contingente di truppe terrestri e aeree dell'Unione Sovietica, e dall'altro vari raggruppamenti di guerriglieri afghani collettivamente noti come mujaheddin, appoggiati materialmente e finanziariamente da un gran numero di nazioni estere; il conflitto viene considerato parte della guerra fredda nonché prima fase della più ampia guerra civile afghana.
Il National Geographic propose di scattare un fotoreportage nei campi profughi allestiti lungo la frontiera Afghano-Pakistano. Pur subendo pesantemente le conseguenze del conflitto bellico contro l'invasione sovietica, i rifugiati continuavano stoicamente le loro vite. La produzione di tappeti non subì battute d'arresto, e i profughi più giovani potevano persino fruire di un sistema scolastico di fortuna, ospitato in alcune tende. Ed è qui che Mcurry incrocia gli occhi di Sharbat Gula.
Mi accorsi subito di quella ragazzina [...]. Aveva un'espressione intensa, tormentata e uno sguardo incredibilmente penetrante - eppure aveva solo dodici anni. Siccome era molto timida, pensai che se avessi fotografato prima le sue compagne avrebbe acconsentito più facilmente a farsi riprendere, per non sentirsi meno importante delle altre
La classe era composta di una quindicina di ragazze. Erano tutte giovanissime e facevano quello che fanno tutti gli scolari del mondo, correvano, facevano chiasso, strillavano e alzavano un sacco di polvere. Ma quando ho cominciato a fotografare Gula, non ho sentito e visto più nient'altro. Mi ha preso completamente [...] Suppongo che fosse incuriosita da me quanto io lo ero da lei, poiché non era mai stata fotografata prima e probabilmente non aveva mai visto una macchina fotografica. Dopo qualche minuto si alzò e si allontanò, ma per un istante tutto era stato perfetto, la luce, lo sfondo, l'espressione dei suoi occhi
ALLA RICERCA DELLA RAGAZZA AFGANA: L'identita della ragazza Afgana rimase sconosciuta fino al 2002 quando Mcurry con una troupe della National Geographic si mise sulle sue tracce. Arrivati nel campo profughi appena prima che fosse demolito iniziarono a chiedere informazioni sulla ragazza, mostrandone la fotografia a vari anziani e abitanti del luogo. La ricerca, tuttavia, fu complicata dal fatto che varie donne, allettate dalla possibilità di qualche vantaggio economico, finsero di essere la ragazza. È lo stesso McCurry a ricordarlo: «Trovammo una donna che sembrava a tutti quella giusta. Ma io non ne ero convinto. Aveva gli occhi marrone scuro, mentre quelli della ragazza erano verdi. Poi mi sono ricordato di una piccola cicatrice sul naso dritto della Ragazza afgana, visibile anche dalla fotografia. Il naso dell'altra era più corto e piatto ed era privo di cicatrici».
Quando ormai tutto sembrava perduto riuscirono a contattare il fratello di lei che si mise in contatto con la sorella. Quando il fotografo vide i suoi occhi verdi, comprese immediatamente che si trattava dell'agognata «ragazza afgana»: il suo nome era Sharbat Gula, che in lingua pashto significa «ragazza fiore d'acqua dolce». Il loro colloquio, tuttavia, fu di breve durata:La nostra conversazione fu breve e piuttosto formale. Si ricordava ancora di me, perché quella era stata l'unica volta in tutta la sua vita in cui qualcuno l'aveva fotografata, e perché forse ero l'unico straniero con cui fosse entrata in contatto. Quando vide la foto per la prima volta, provò un certo imbarazzo a causa dello scialle bucato. Mi disse che le si era bruciato mentre stava cucinando. Le spiegai, pensando di compiacerla, che la sua immagine aveva commosso moltissime persone, ma non sono sicuro che la fotografia o il potere della sua immagine significassero davvero qualcosa per lei, o che fosse in grado di capirli fino in fondo. Riviste, giornali, televisione non appartenevano al suo mondo. I suoi genitori erano stati uccisi e lei aveva vissuto una vita da reclusa; non aveva contatti con altre persone al di fuori del marito e dei figli, dei parenti acquisiti e di qualche amico di famiglia. Le sue reazioni mi sembrarono un misto di indifferenza e di imbarazzo, con un pizzico di curiosità e di sconcerto.
Sharbat Gula acconsenti a farsi fotografare di nuovo e le sue immagini apparvero su un numero del National Geographic dal titolo "Ritrovata". Mosso da un istintivo senso di amicizia, inoltre, McCurry riuscì a garantire a Sharbat un servizio medico adeguato, le donò persino una macchina da cucire (in modo da offrire alla figlia la possibilità di un lavoro sicuro) e le diede i mezzi necessari per effettuare il pellegrinaggio a La Mecca, sogno sempre desiderato dalla donna. L'eco di Sharbat Gula, tuttavia, è stato ancor più vasto, ed ha concorso all'istituzione dell'Afghan Children's Fund, ente che si occupa di garantire ai bambini afgani il diritto di andare a scuola e di ricevere un'istruzione.
Riceviamo ancora moltissime lettere, oltre a dipinti e disegni basati sulla fotografia. C'è chi si offre di mandarle denaro o vestiti; qualcuno vorrebbe addirittura sposarla. Da quando è stata pubblicata, abbiamo ricevuto quasi ogni giorno richieste da persone che volevano utilizzare la foto per vari scopi o desideravano entrare in contatto con la ragazza.